Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

martedì 28 giugno 2011

Stromboli detto Mangiafuoco

...citazione dal Pinocchio Disney
quel lestofante è qui di nuovo. 
Dedico una sezione a parte di questo post all'isola di Stromboli, meta di una gitarella in giornata durante il mio soggiorno a Lipari.
Su di Lui, sul vulcano, ho deciso che incentrerò uno dei prossimi viaggi, con tanto di ascesa (imprecherò, già mi sento) e sosta notturna tra lapilli e stelle (ma ne varrà la pena, già lo so). Mi sono pertanto limitata ad aggirarlo, Lui, a sentirne la soggezione nuotandoci sotto o ammirando gli sbuffi di fumo dal mare.
Lo Stromboli ci saluta (copyright signora Aquilone)
Ci tornerò anche perchè l'isola è di una bellezza unica. Il paesino è arrampicato lungo stradicciole dove passa a malapena un'apecar (non ci sono macchine), le case sono tutte tipicamente a cubo, bianche, molto curate, circondate spesso da tettoie e terrazzi fioriti. Non mi stancavo di ammirarle una per una ed invidiare molto chi potesse rilassarvici dentro.
Gli abitanti di Stromboli sono circa 500, mentre 30 soltanto sono quelli di Ginostra, un pugno di case abbarbicate sul versante opposto dell'isola, raggiungibili soltanto via mare grazie ad un piccolo porticciolo steso su acque limpidissime. Il gestore del bar-ristorante del posto, a cui ho chiesto se possedesse una barchetta per i suoi spostamenti o se rimanesse sempre a Ginostra, mi ha risposto che a volte si è spostato con qualche amico, ma che di solito non ha molto tempo per farlo. Questione di punti di vista.
Il porticciolo di Ginostra (copyright signora Aquilone)
Le spiagge di Stromboli sono lembi sottili di ciottoli e sabbie nere lungo il tratto nord-est della costa, a ridosso del centro abitato. Mare incantevole (tuffo anche al largo, intorno allo scoglio di Strombolicchio: meraviglia), scelto non a caso da numerosi miliardari più o meno famosi che sostano nei paraggi coi loro yacht.
Mi è parsa in effetti un'isola da turista natural-intellettuale, talvolta un filino snob; per usare un'espressione dei nostri giorni, direi tipicamente radical chic. Ed io, pur non essendo chic ma pur sempre radical quanto basta, ci tornerò sicuramente.

domenica 26 giugno 2011

Le sette sorelle, là dove Eolo regna

Chiedo venia per il prolungato silenzio bloggesco ma posso avanzare un legittimo impedimento (benchè mi siano giunte funeste voci che sia stato abrogato): ero in trasferta a Lipari.
Ho messo piede per la prima volta alle isole Eolie (e più precisamente a Vulcano) qualche anno fa e ne avevo conservato un lusinghiero ricordo. Della serie, quando il presente è in grado di stupire il passato: torno oggi con un vero e proprio innamoramento per Lipari e Stromboli (su cui ho fatto una gitarella di una giornata), con tanto di "quando andrò in pensione mi trasferirò qui" d'ordinanza.
La spiaggia della Papisca (copyright signora Aquilone)



Risata fuori campo alla parola "pensione".
Le isole Eolie sono sette proprio come i sette nani, ma non è al nano Eolo che devono il loro nome (approfondimenti più intelligenti sulle etimologie di queste località li trovate qui). Geologicamente sono sbucate l'altro ieri: la prima a far capolino fu Filicudi, circa 600 mila anni fa. Come ben si sa sono isole vulcaniche, sbucate quindi perchè là sotto, nel blu profondo, ci sono due placche litosferiche (alias pezzi di crosta terrestre) in collisione. Questa flippa per dire: 1) niente spiagge bianche; 2) rara sabbia finissima e comunque sempre nera; 3) morfologia impervia; 4) terreno fertile e dunque vegetazione spesso sorpendentemente rigogliosa; 5) due vulcani attivi (Vulcano e Stromboli), elevato rischio sismico, possibilità di tsunami. Ma infondo qualcuno disse che si sta come d'autunno sugli alberi le foglie e, cavoli, quanto aveva ragione! Perciò, fatalismo nello zaino e via andare.
Lipari è una meta che consiglio a chi non cerca solo mare, ma vuol nutrirsi anche di storia e scorci di paesaggi, magari catturati durante un'escursione a piedi (ma anche comodamente in scooter). Non solo mare, ma pur sempre anche mare, e dunque un accesso (più o meno) comodo per bagni di sole e nuotatine serene.
Dunque, spiagge raggiungibili a piedi: poche, ovvero cinque in tutta l'isola. Di queste tre sono comode, la migliore è la spiagga di Canneto, fatta di ciotoli e incastonata in una suggestiva baia. Si raggiunge dal grazioso lungomare dell'omonimo paesino: segnalo che qui è presente un campeggio ben alberato. Di fatto questo è l'unico punto di Lipari dove potete permettervi di non possedere un mezzo di trasporto (e se ogni tanto volete cambiare spiaggia esiste un servizio bus).
Le altre due prevedono gambe in spalla, ma meritano questo sforzo. La spiaggia della Papisca è quanto più si avvicina al concetto di "spiagge bianche", un mitologico nome che ritorna in molte recensioni di Lipari e che non deve però ingannare: le spiagge bianche non esistono. Esiste però un tratto di costa (quello nord-est) dominato dalle vecchie cave di pomice, i cui sedimenti rendono azzurro-tropici i fondali da un certo punto in poi, ma non le spiagge, in cui i ciotoli bianchi di pomice si mescolano con quelli più scuri. Sospetto che con la barca si possano raggiungere calette meravigliose in questa zona. Purtroppo la spiaggia della Papisca è in parte attrezzata, ma in questo periodo i turisti erano comunque assai pochi (e quasi tutti stranieri). Valle Muria è l'altra spiaggia gambe in spalla, questa sulla costa ovest, ideale quindi per oziarvi fino a tarda ora. E' incontaminata, in parte fatta di scogli, comunque piuttosto comodi da usare come "lettini".
Fiori e piante non mancano (copyright signora Aquilone)
Il mare è limpidissimo ovunque, soprattutto con le luci del mattino. E snadrazzare guardandosi intorno, tra il cielo azzurro di un vero azzurro, le rocce color ocra (ceneri vulcaniche) e il verde lussureggiante, è un vero toccasana. Già, il verde: non immaginavo tanta ricchezza di piante e fiori variopinti!
Il paese di Lipari, dove è situato il porto, è composto di viuzze caratteristiche ed un corso principale; è molto bello, soprattutto per la presenza della rocca, l'antica acropoli dove si trovano gli scavi archeologici, la cattedrale con annesso chiostro normanno, il museo archeologico e vulcanologico. Suggerisco caldamente una visita a tutta quest'area (ok, la sezione vulcanologica è un guazzabuglio nozionistico ma è inclusa nel prezzo del museo archeologico, 6 euro).
Consiglio però di cercarvi una sistemazione un po' fuori dal centro, nella zona collinare; meno costosa, più fresca, ancor più suggestiva. Io ero nei pressi di Pianoconte, in una tavernetta molto comoda e pulita, con tanto di "terrazzo" con una vista strepitosa. Serve sicuramente un mezzo (ideale lo scooter: noleggio per 8 giorni 130 euro), ma quello è comunque quasi indispensabile. Un'occhiata ai prezzi. Costo totale della vacanza in giugno (9 notti): treno Modena-Milazzo e ritorno, aliscafi vari (compresa gita a Stromboli), casa, scooter, cibarie, extra, circa 900 euro in due.   
Il chiostro normanno (copyright signora Aquilone)
Gli isolani sono molto disponibili e cordiali. Tentano di venderti di tutto: stanze, scooter, gite in barca, pezzi di ossidiana (non comprateli: ne troverete gratis nella zona delle cave di pomice), conchiglie finte, etc...ma poi incontri lunga una mulattiera sperduta una signora che raccoglie pomodori e che te ne regala 2 chili dicendo "quanto mi deve? non lo dica neanche per scherzo". Lascio che sia lei a concludere questo mio piccolo prontuario liparota, che vuole essere prima di tutto un ringraziamento ed un omaggio ad un meraviglioso lembo di Italia.

domenica 12 giugno 2011

La morale è assai più ghiotta: la merenda autoprodotta

Ai miei tempi la morale era sempre quella: fai merenda con Girella.
Le merendine significano (spesso) conservanti o altri additivi se non dannosi comunque di nessuna utilità per la salute, e sicuramente significano una marea di rifiuti: almeno 12 imballaggi in una singola confezione da 10 merendine.
Troppo...no?

Pan di spagna autoprodotto
D'accordo, non sempre c'è il tempo di trovare alternative e spesso siamo talmente assuefatti ai prodotti confezionati che le alternative non le vediamo proprio o non le apprezziamo.
Se però esisti anche tu, tu che hai 15 minuti di tempo, una frusta elettrica, un paio di ciotole, un pizzico di buona volontà, eccoti la ricetta base per farti la Girella in casa o lo Yo-Yo o il Flauto o la Fetta al latte o a quello che tu vuoi (o la cassata): il pan di spagna. Mi risulta che, a dispetto del nome, di spagnolo abbia ben poco, se non la terra che lo ha reso celebre, ma l'idea fu tutta di un cuoco genovese che lo propose, con successo, alla corte spagnola (XVIII secolo). Il nome di "pasta genovese" è infatti sostanzialmente un sinonimo.
Quello che si compra presso la grande distribuzione, bisogna ben dirlo, fa schifo. Sembra di ingurgitare gomma piuma.
Questo è diverso. Questo è altamente commestibile. Servono:
- 6 uova
- 180 g di zucchero
- 160 g di farina
- un pizzico di vanillina

Tutta la dignità del pan di spagna che, noterete, non ha bisogno di lievito, risiede nella fase di sbattimento uova. Separate con cura albumi e tuorli. Montate dapprima gli albumi a neve (come è spiegato in questo post), aggiungendo un pizzico di sale, e metteteli da parte. Ora dedicatevi a tuorli e zucchero (e vanillina): non state a lavare le fruste, ma riutilizzatele per loro. Ci vorranno almeno 5-10 minuti alla massima velocità: il composto deve incorporare aria e gonfiarsi (in questo modo lieviterà senza lievito) e diventare quasi bianco.
Quando sarete soddisfatti del risultato setacciatevi la farina (in questo caso è decisamente consigliato setacciare per lasciare il composto liscio e delicato) e infine aggiungete gli albumi montati. Guai a mescolare come se fosse polenta: dal basso verso l'alto, altrimenti si smonta la meraviglia.
Ricoprite di carta da forno una tortiera o anche la piastra del forno. Infornate a 180 °C per circa mezz'ora. Non aprite il forno! E se volete che il pan di spagna resti gonfio lasciatelo riposare per 10 minuti a forno spento una volta cotto.
Otterrete un oggetto di discreto spessore, che potrete tagliare per ottenere più dischi.
Ora non vi resta che lasciarlo raffreddare e poi farcirlo come più vi piace. Se volere arrotolarlo copritelo con un canovaccio umido e lasciatelo un po' lì.

sabato 11 giugno 2011

In attesa di Lipari...la cassata!

Nutro una carnale passione per i dolci a base di ricotta, così come per quelli che prevedono la presenza di mandorle. Va da sè che adoro pertanto la pasticceria siciliana. Se siete di Modena o dintorni e condividete questa mia passione, ne approfitto per segnalarvi il tempio modenese della pasticceria del nostro ghiotto meridione (che fa pure rima!): la pasticceria San Lazzaro. Guardando dunque con profonda ammirazione al laboratorio alchemico che immagino si celi dietro il sontuoso banco di questa pasticceria e non avendo la pretesa di avvicinarmi a quel livello, tento oggi il mio umile approccio alla pasticceria siciliana con una cassata...che spero non si riveli una cazz...(gioco di parole troppo facile, ne sono consapevole, ma non ho potuto resistere).
E siccome sono una cuoca dallo spirito indomito ho deciso che ogni singola componente della mia cassata dovesse essere rigorosamente home made. E dunque al bando pan di spagna e marzapani confezionati, armiamoci di coraggio e fiducia e acquistiamo:
- 500 g di ricotta di mucca (più buona, fresca, sopraffina è meglio è)
- 200 g di zucchero
- 125 g di zucchero a velo per la pasta di mandorle
- poco liquore o anche acqua di fiori d'arancio (io ho usato il cointreau)
- ciliegie candite
- poca gelatina di albicocca
- 125 g di mandorle tritate fini
- coloranti alimentari (almeno quello verde, volendo anche quello rosso)
La ricetta del pan di spagna la posterò a parte per non andare troppo per le lunghe.

Pasta di mandorle, marzapane...io so che in Sicilia la chiamano pasta reale e mi pare che meriti tale denominazione. La vendono già fatta e non è male, altrimenti si può fare il tentativo di farla a casa.
Mescolate mandorle tritate e zucchero a velo (oggi ho utilizzato quello semolato, ma vi assicuro che con quello a velo farete meno fatica a modellare la pasta, che sarà anche più liscia). Compattateli con l'aiuto di poca acqua calda e acqua di fiori d'arancio o liquore: non esagerate se utilizzate coloranti alimentari in forma liquida perchè anche questi ultimi contribuiscono a "far sudare" la pasta. Se sudasse troppo, no panic, aggiungete zucchero a velo. Coprite con carta da forno e tenete in frigorifero fino all'utilizzo.
Per il ripieno preparate uno sciroppo sciogliendo lo zucchero a bagnomaria con poca acqua (qualche cucchiaio) e un tappino di liquore o acqua di fiori d'arancio. Dovrete ottenere un composto fluido e non granuloso.
Lasciate intipidire e nel frattempo rendete omogenea la ricotta con l'aiuto di un cucchiaio. Aggiungete quindi lo sciroppo di zucchero, che contribuirà a rendere il vostro ripieno vellutato e senza grumi. Io non aggiungo nè canditi (non li amo) nè scaglie di cioccolata, perchè amo la ricotta nuda e pura.
Utilizzate come base della vostra cassata un disco di pan di spagna e con dei ritagli (sempre di pan di spagna) bordate uno stampo a cerniera. Per fissarli meglio alle pareti dello stampo spennellate poca gelatina di albicocche, eventualmente scaldandola appena per renderla fluida. A questo punto metterete al centro della vostra accogliente e morbida scodella il ripieno di ricotta (come nella foto). 
Ora non vi resta che utilizzare la vostra pasta reale e le ciliegie candite per decorare come meglio credete la vostra cassata. La si può ricoprire completamente di pasta verde, oppure avventurarsi in decorazioni tricolori come ho fatto io, o fare anche meglio (fiori, foglie).
Sistemate in frigorifero per qualche ora prima di servire.
PS: a Lipari ci vado la prossima settimana e spero di incontrare memorabili cassate e cannoli in gran quantità!

venerdì 10 giugno 2011

Convocatio ad referendum

Mi interrogavo sull'origine della parola referendum e spulciando in giro per la rete mi è venuta in soccorso l'encomiabile tesina svolta da qualche solerte studente: si intitola La grammatica della costituzione italiana. Se ne suggerisce la somministrazione a certi analfabeti istituzionali che, pur sedendo sui propri alti scranni in rappresentanza del popolo sovrano, si permettono di dire che il referendum è "un fallimento del legislatore", "inutile", e che pertanto non andranno a votare.

Il termine referendum risulta essere un latinismo introdotto nella      
seconda metà del 1800 in Svizzera nel linguaggio politico derivato      
dell’espressione latina referendum “cosa che si deve registrare” gerundivo da referire . 
L’espressione “convocatio ad referendum”, in uso frequente     
nel linguaggio amministrativo e diplomatico, indica alla lettera:      
convocazione per riferire.      
La Costituzione Repubblicana prevede il referendum, come istituto      
di democrazia diretta in diversi articoli, in relazione ai differenti tipi      
di leggi su cui i cittadini possono deliberare attraverso questo tipo di      
intervento. Il referendum abrogativo rappresenta sicuramente una      
delle forme attraverso le quali il popolo detiene ed esercita la sovranità      
popolare, secondo quanto stabilito come principio fondamentale all’art.1.      
In sede di Assemblea Costituente si affermò che la previsione dell’istituto     
del referendum serviva ad attuare in maniera più piena il      
principio della sovranità popolare ed era necessario per “ togliere al      
Parlamento il carattere di solo organo sovrano”.      

Quanti oggi si rallegrano del...ops...referendum (!) che il 2 giugno del '46 ha reso l'Italia una repubblica e non più una monarchia, il 12 e 13 giugno vadano a votare. Non è vero che votare è un diritto, e non è nemmeno vero che sia un dovere: è un onore.
E per non cedere all'amarezza dei suddetti analfabeti istituzionali, ridiamoci sopra...

martedì 7 giugno 2011

Quelle che la dote

E' il dettaglio di un quadro famoso...quale?
Per tanti anni la mia nonna mi ha fatto un doppio regalo: uno che piacesse a me (giocattoli, giocattoli, giocattoli) e uno a cui lei teneva e che per me sarebbe stato un ben magro regalo...lenzuola. Lenzuola per la dote.
Non so se esistano ancora nonne che preparino la dote e fanciulle da marito che liete si accostino all'altare fiere del proprio armamentario di pizzi e trine. La dote della mia nonna mi ha fornito però lo spunto per questo post, che potrei sottotitolare indispensabilia, ovvero: gli attrezzi a cui non potete proprio rinunciare se dovete mettere su casa e intendete utilizzare fruttuosamente la cucina.
Ovviamente sono molteplici gli oggetti, sempre più tecnologici, che potrebbero essere considerati indispensabili; pochi in realtà, a mio avviso, lo sono veramente. Se pertanto intendete per questo, quello o quell'altro motivo tentare la via della sobrietà dei consumi accorciate la lista e aguzzate l'ingegno. Ecco la personalissima dote che io suggerisco:
  • Coltelli buoni, affilati a puntino. Ne bastano pochi, per tritare, per tagliare, uno seghettato per il pane. Io mi trovo molto bene anche con la mezzaluna, per tritare aglio, cipolla, prezzemolo. A mio parere, i triti tipo soffritto vengono meglio a mano che con frullini, robot, etc, perché questi attrezzi in genere maciullano più che tritare, inoltre gran parte del trito rimane incastrato negli ingranaggi.
  • Frullatore ad immersione. Questo attrezzo è pratico e insostituibile per preparare mousse e salse, passati di verdura, tritare la frutta secca.
  • Frusta elettrica. Per montare panna e albumi, per far gonfiare come si deve tuorli e zucchero ad esempio per lo zabaione. Molto meglio di quello manuale.
  •  Un paio di stampi rotondi per torte dolci e salate (uno di 20 cm di diametro e uno più grande). Volendo si può optare per quelli a cerniera, ma utilizzando la carta da forno è comunque facile estrarre qualsiasi cosa.     
  • Una pirofila trasparente per i dolci al cucchiaio, ma all'occorrenza anche per pasta e patate al forno.
  • Bilancia elettronica precisa al grammo. Se volete includere nel vostro ricettario anche alcuni dolci memorabili non potete farne a meno.
  • Pentola di coccio per brasati e zuppe.
  •  Macchina per la pasta, tipo Imperia, anche senza motore elettrico. Semplifica sicuramente la vita se avete intenzione di stupire con la pasta fatta in casa, un jolly di assai più facile esecuzione di quel che si pensa, che trasmette agli ospiti l'idea dell'impegno che avete messo nell'allestire il desco per loro e che si può declinare in mille forme e abbinamenti.
Il resto sta anche a quello che avrete intenzione di cucinare in prevalenza, al tempo che intendete dedicare alla tavola, all'intenzione di invitare ospiti, etc...
Questo è comunque un buon inizio, poca spesa, alta resa.

domenica 5 giugno 2011

I coccoretti: dolce scoperta dal mercato europeo

Di ritorno (appena in tempo per scampare il diluvio universale) dal mercato europeo che oggi ha inebriato il centro storico a Modena, contravvengo alle mie regole e posto una ricetta che ancora non ho sperimentato ma che conto di provare quanto prima (tipo....domani!). Motivo di tal tracotanza è il languore che mi pervade da quando ho assaggiato i dolcetti che chiamavano coccoretti la cui origine belga tuttavia mi impone di preferire il nome originale che pare essere cocosgebäck
Le ricette che ho trovato sono molto simili a quella delle meringhe, le dosi variano un po' come pure la presenza del succo di limone (che io lascerei perchè penso contribuisca, come nelle meringhe, a smorzare il sentore di uovo che infatti era assente dai dolcetti che ho gustato). Le dosi che mi convincono di più sono:
2 albumi, 100 g di zucchero, 200 g di farina di cocco, poche gocce di succo di limone.
Con una dose del genere di meringhe si riempie una placca da forno; questi rendono sicuramente meno quindi conviene raddoppiare senza indugi tanto son buoni....
Seguire il procedimento delle meringhe per il montaggio albumi, includere la farina di cocco alla fine. L'ideale per sformarli è possedere l'attrezzo per fare le palline del gelato, altrimenti credo che anche dei bicchierini da liquore o, alla peggio, un cucchiaio, possano andare bene. Lasciare il forno semiaperto per far fuoriuscire l'umidità: cuociono in 30-40 minuti a 120°. PROVERO'!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Il tempo delle ciliegie

Le ciliegie non hanno bisogno di pubblicità: piacciono a tutti, e com'è ben noto una tira l'altra. Qui in Emilia, ma non solo, sono celeberrime quelle di Vignola, che proprio in questo periodo troneggiano nei mercati e nei numerosi banchetti improvvisati. Goduriose, gustiamole nella loro stagione e non pieghiamoci a quelle importate da terre lontane quando da noi non è periodo.
Quando da noi non è periodo la sola alternativa ecologicamente ed eticamente (ma anche gustativamente) percorribile è quella di non comprarle...e magari di aprire uno dei barattoli che ci siamo amorevolmente preparati durante l'estate per poter gustare l'aroma delle ciliegie anche in inverno!
Esistono diversi modi di conservarle, tra cui ovviamente sciroppate, ma in questa versione politicamente corretta poichè priva di alcool io preferisco le "consaguinee" amarene, che maturano più avanti e di cui non mancherò di parlare. Un modo invece di conservare le ciliegie e di farne qualcosa di spettacolare è realizzare le ciliegie da cocktail: suberbe, appunto, nei cocktail o anche come accompagnamento ad un semplice aperitivo a base di bianco frizzante, sul gelato, con lo zabaione, da sole, male accompagnate, insomma...ottime sempre! Costituiscono tra l'altro un simpatico e sempre gradito pensiero da proporre ad esempio nel periodo natalizio al posto delle solite chincaglierie.
Procuratevi dunque delle belle, sane, sode ciliegie, mature al punto giusto, zucchero, alcool per liquori, qualche mandorla amara, chiodi di garofano. La quantità di zucchero è di circa 400 grammi ogni chilo di ciliegie. Potete eventualmente sostituire il puro alcool con la grappa o altro liquore che gradite.
Lavate le ciliegie e tagliatene il picciolo a circa mezzo centimetro dalla base. Lasciatele asciugare all'aria.
Nel frattempo preparate lo sciroppo: sciogliete lo zucchero in mezzo bicchiere di acqua (per 400 g di zucchero), ponetelo sul fuoco e fatelo bollire per circa 3 minuti. Fatelo raffreddare, eventualmente abbattendo la temperatura ponendo il pentolino su alcune "mattonelle di ghiaccio" (si chiamano così??).
Stipate le ciliegie nei barattoli (suggerisco quelli da 250 cc), perfettamente puliti e coi loro bravi tappi (mai riciclare i tappi, comprarli sempre nuovi!). Colate lo sciroppo nei barattoli e rabboccate con l'alcool fino a quando tutte le ciliegie saranno coperte: lasciate sempre circa un centimetro dall'orlo del barattolo.
C'è a questo punto chi aggiunge foglie di ciliegio o scorze di limone, io ho aggiunto una mandorla amara e due chiodi di garofano in ogni barattolo e trovo che facciano la loro (...) figura. Chiudere bene i barattoli. La sterilizzazione in questo caso non è necessaria grazie al ragguardevole tasso alcolico.
A questo punto attendete almeno tre mesi, lasciate che l'osmosi faccia il suo corso e lo sciroppo alcolico penetri nelle ciliegie: non saranno più le stesse, ma nelle cupe serate autunnali soppianteranno degnamente quelle che vi sarete gustati durante l'estate.

venerdì 3 giugno 2011

Pisapi(pp)a, i nichilisti e i grilli (stra)parlanti

Apprezzo il Movimento 5 Stelle, ma detesto cordialmente Beppe Grillo.
La sua recente stoccata nei confronti dell'italietta illusa che si reca alle urne a Milano per votare Pisapia e ingenuamente festeggia il presunto cambio di rotta mi offre l'occasione per dare costrutto a questa mia valutazione.
Il Movimento 5 Stelle porta alla ribalta, in questo totalmente, colpevolmente, solo, temi che a mio avviso dovrebbero essere fondanti per ogni organizzazione politica: i rifiuti, la mobilità sostenibile, la decrescita, lo stop all'urbanizzazione selvaggia, per dirne alcuni. E' il solo movimento che è stato capace di dare un segnale della necessità di una politica fatta di ideali e di passioni più che di indennizzi e di favori; di una politica pulita, coraggiosa, talvolta necessariamente impopolare, ma con l'ambizione di trainare le persone al di fuori delle sabbie mobili del luogo comune e dell'ideologia preconfezionata.
Detto questo, pur rivendicando il diritto del Movimento 5 Stelle di porsi come altro rispetto alla politica paludata dei "soliti" partiti, di proporre i propri candidati senza piegarsi alla logica imbalsamata del "voto utile", ritengo tuttavia che la furia iconoclasta di chi oggi dice che Pisapia o la Moratti sono la stessa cosa sia francamente un po' troppo.
Poi ti dicono tutti sono uguali tutti rubano nella stessa maniera.
Non è così. Il meno peggio esiste, e io in quel caso lo vedo in una persona garbata che ha saputo tenersi fuori con signorilità dal turbine della politica insultante. E se un numero maggiore di cittadini è in lui che ha voluto credere e non nei viva-la-mamma e nei via-le BR-dalle procure e nella Milano-nuova-zingaropoli, mi sia consentito di illudermi che questo sia un piccolo, incoraggiante segnale. E la speranza di un interlocutore più acuto e lungimirante non dovrebbe essere poco davvero, nemmeno per il Movimento 5 Stelle.
Sbaglia Grillo nel perseverare a storpiar nomi (in questo, seguendo la scuola del soldato Emilio Fede, e ho già detto tutto), a far di tutta l'erba un fascio; questa non è critica, ma rischia di diventare nichilismo. Per esercitare la prima occorre intelligenza e fatica, la via del secondo è fin troppo semplice e scorre nei binari del più becero qualunquismo.