Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

lunedì 26 settembre 2011

Risum abundat nella bocca del goloso

Ovvero, evviva risi e risotti, caldi o freddi, asciutti o brodosi.
Anche il semplice riso bollito, qualche zucchina, aglio, pollo se vogliamo esagerare: un povero magro piatto che non trovo per nulla sconfortante a dispetto dei pregiudizi.
Equinozio di autunno varcato (il 23 settembre), rassegnamoci a salutare i dì più lunghi delle notti, a salutare l'estate (ma a quanto pare non le alte temperature) ed accogliere l'autunno. Propongo allora di salutare l'estate con un riso delizioso e profumato, che fa molto pic nic senza i soliti panini: un riso orientale aromatico.
Lo so, lo so che l'Italia vanta numerose ottime qualità di riso, ma il riso che io preferisco è quello a chicco lungo orientale, il basmati o il thai; aroma imbattibile, a mio parere.
E dunque, circa 80 g a persona di riso basmati o thai. Se poi trovate anche il riso venere (quello nero a chicco lungo, che costa un pozzo ma è spettacolare) è l'ideale: mescolate i due tipi di riso e sarà una poesia!
fagioli cannellini (ma anche no)
carciofi (suggerisco per questi ultimi, qui lo dico e qui lo nego, i pratici cuori surgelati)
pomodori secchi
ricotta salata o feta
erba cipollina fresca
basilico fresco

A parte cuocere il riso (se possedete l'apparecchio cuociriso tanto meglio) e, quando è pronto, bloccarne la cottura con acqua fredda, avrete ben poco da fare, se non cuocere i carciofi in acqua bollente salata (e senza coperchio, per non farli impallidire). Fateli raffreddare e tagliateli a listarelle, così come i pomodori e il formaggio che avete scelto. Tagliate con le forbici anche i pezzetti di erba cipollina e basilico freschi. Aggiungete i cannellini se li avete.
Aggiustate di sale, pepe, eventualmente olio (ma secondo me non occorre).
Il piatto è pronto!

sabato 24 settembre 2011

Home sweet home

Signore e signori, vi prestento...casa mia!
Ingresso-sala, festa di pareti gialle e verdi. Non giallino paglierino, verdolino salvia, no, giallo oro e verde bosco. I colori scuri stancano, patologia da cui pare molti siano afflitti ma non io.
Mobili in noce, tutti intarsiati, un pezzo dell'amata casa dell'amata nonna. Sì, lo so, nessuno sotto i 40 anni sceglierebbe mobili così, ma il mio è uno dei casi in cui sono i mobili che mi hanno scelta: hanno atteso in soffitta per almeno un lustro, strenui al destino di discariche e pesche di beneficienza, fino a quando è arrivato per me il momento di mettere su casa a budget limitato.
Uno dei pochi salotti in cui lo schermo piatto non ha ancora fatto la sua apparizione: cara, vecchia, ingrombrante tv a tubo catodico, retrocessa oramai a schermo del computer, giacchè dalla tv generalista mi sono felicemente congedata. Divano verde scuro, foggia antica, uno dei rari pezzi acquistati all'occorrenza e prontamente devastato dai gatti. Condizione perfetta per ricordarmi che un divano è soltanto un oggetto inanimato.
Poster da due soldi, aventi il solo pregio di essermi piaciuti, l'insegna Come on, we're open, fotografie: un'intera finestra di fotografie (e intendo proprio un telaio di una vecchia finestra), intrecciate a ricordarmi un pezzettino di vita. Quadro, uno solo, ed è giusto che sia così. Un pannello sopra il suddetto divano, colori che sembrano fatti apposta per me e per il mio salotto, dono realizzato e autografato dalla mamma dell'amorevole amato coinquilino umano.
Cucina, salvata da un magazzino in fallimento. Anche lei credo mi stesse aspettando. Rustica, semplice, superfici riflettenti bandite. Mi sento a disagio nelle cucine high tech, piccoli obitori domestici, tavoli lisci lisci di metallo, faretti indagatori che mettono a nudo piani di lavoro rigorosamente de-batterizzati.
In cucina come in bagno pareti verde acido.
Non ne contemplano più di bagni così. Graziose piastrelline anni 80. Vasca da bagno antidiluviana (indecente, senza offesa, me lo ha detto pure mia sorella di anni 7) con telo da doccia, quelli che mentre ti lavi ti si appiccicano addosso che è un piacere. E contro eserciti di moderni lavandini sospesi o incastonati in mobili portacartaigienica, il mio è un classico rassicurante lavandino con la gamba.
Camera da letto lilla (aaaa....riposante), letto laccato rosso-Ferrari (aaaa....meglio non esagerare col riposo), recuperato da mio zio accanto ad un cassonetto. Sulla lettiera (n.d.r. o si dice la testiera del letto??? forse la lettiera è quella dei gatti) la locandina di un film a cui è votato il mio personale culto, Manhattan di Woody Allen.
Il balcone, piccola piattaforma ecologica domestica: compostiera, bidoni per la raccolta differenziata, cassetta per i gatti, qualche pianta che ancora sopravvive al pollice tutt'altro che verde dei proprietari toccati in sorte.
Benvenuti, dunque, mettetevi comodi, vado a preparare qualche stuzzichino.
Quelli che la casa non è un'astronave.
Quelli che un divano bianco è vietato dalla legge.
Quelli che un po' di polvere non ha mai ammazzato nessuno.
Quelli che gli oggetti sono sempre soltanto oggetti.
Quelli che la migliore terapia è rientrare a casa propria.

domenica 18 settembre 2011

I lavori del giovane Werther

Pubblicavo l'ultimo post a fine agosto e siamo già balzati oltre la metà di settembre. E oggi, finalmente, si vede. Cielo plumbeo, odore di pioggia, e pure quel bel rumore, fino a poco fa.
La ragione di un così lungo silenzio blogghesco è che dopo un'estate di più o meno costante sana disoccupazione ho ripreso a lavorare.
Breve digressione sul mito post-marxista del lavoro. La religione è l'oppio dei popoli, d'accordo. A distanza di anni, e nonostante le numerose conquiste di civiltà ed emancipazione, forse di quell'oppio lì i popoli ne abusano ancora, a tutto vantaggio di chi i popoli li piega ai propri privati interessi. Ma di oppio ne abbiamo contestualmente scoperto un altro, e nessuno ancora si arrischia ad additarlo come nefasto, ed è quello del lavoro.
Lavorare per essere qualcuno, per avere qualcosa, sempre più cose. Le cose che vogliamo avere sono sempre di più, gli stipendi sempre più bassi, e allora lavoriamo di più, di più, di più. Viverci in mezzo nel frattempo sarebbe auspicabile ma non sempre possibile.
Prima o poi la dipendenza chiederà il suo prezzo e l'organismo mostrerà di essere da tempo compromesso. Sarà la mia generazione probabilmente a dover ricoverare il malato, ammettere che era un tossico, superare le crisi di astinenza, le allucinazioni, la perdita della dignità. Uscirne,  forse. O soccombere.

Ebbene, doveroso aggiornamento del mio status professionale. Ad uso e consumo di parenti, amici, conoscenti e non conoscenti che si trovino a chiedersi come mi procuro da vivere. A chi mi ha fatto questa domanda ma non ha ascoltato la risposta. O non l'ha capita, forse per mio difetto lessicale.
Nessuna attività illecita, per ora.
Tuttavia, definizione non facile.
Mettiamo subito le cose in chiaro. No, non ho un contratto a tempo indeterminato. Il mio è da consumarsi preferibilmente entro il 23 dicembre 2011. Alla scadenza è probabile che ci sarà altro latte UHT sugli scaffali del supermercato, ma in effetti non bisogna farsi troppe illusioni. No, non ho un orario di lavoro, non ho cartellini da timbrare, non ho buoni pasto, ferie, malattie, congedi.
Ciò premesso, quando lavoro. Di solito il pomeriggio, a volte la sera (fin verso l'una), a volte nel weekend. Da circa 20 a massimo 50 ore settimanali quando proprio si esagera (come la settimana in arrivo). Ecco perchè quando tu lavori io me ne vado tranquilla al mercato del lunedì.
Cosa faccio. A pagarmi è una cooperativa che fa comunicazione ambientale. Non atterrirti, prosegui, puoi farcela.
Tralasciando fotocopie, rilegature, centralino, che pure rappresentano quella salutare fuga dagli intellettualismi che solo i lavori ripetitivi sanno regalare, faccio principalmente tre cose: 1) formo e coordino gruppi di persone che fanno attività di informazione o consegna casa per casa (es. il tizio che viene a portarvi la pattumella per l'organico). Non ci hai mai pensato, forse non ci credi, ma c'è un sacco di lavoro dietro. 2) faccio personalmente informazione su temi ambientali (soprattutto raccolta differenziata) in incontri pubblici di vario tipo (serate, punti informativi, etc). Ebbene sì, qualcuno paga per questo. 3) curo e svolgo progetti didattici su rifiuti, acqua, energia, clima, chi più ne ha più ne metta, nelle scuole di ogni ordine e grado.
Sì, ma quindi, cosa faccio? Chiamami educatrice ambientale, mi sta bene.
Oppure continua a pensare che non mi sono ancora trovata un lavoro serio.