Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

mercoledì 26 ottobre 2011

Simoncelli e l'antidemocrazia della morte

Ieri mi è capitato di sentire al volo la conduttrice di un programma tv esternare viva indignazione per alcune freddure apparse su Nonciclopedia a proposito della morte di Simoncelli.
Una di queste frasi, citata dalla conduttrice, era la seguente: Disastroso terremoto in Turchia. Le vittime verranno commemorate con una foto di Simoncelli. 
Mi ha colpita. Personalmente l'ho trovata amara e terribile, sicuramente caustica, ma intelligente e non lesiva. E mi ha fatto riflettere su come la morte sia sfacciatamente antidemocratica e come nel dolercene, e nel celebrare e rimpiangere il defunto, ancorchè non legato a noi da un vincolo familiare/affettivo, gli esseri umani siano, istintivamente, crudelmente selettivi. Lungi da me chiamarmi fuori dal novero di tali esseri umani: ammetto che prima di quella frase non avevo dedicato un minuto della mia domenica a "compatire" (in senso etimologico) i morti del terremoto in Turchia, mentre parecchi ne ho spesi a leggere, ascoltare, vedere lo sfortunato motociclista, rammaricandomi per lui. E dire, come alcuni hanno commentato, cinicamente ma non senza ragione, che lui aveva scelto quella vita rischiosa, peraltro assai ben pagata. Era giovanissimo, certo, e le morti precoci lasciano sempre interdetti, ma fra i 500 morti della Turchia qualcuno doveva essere altrettanto se non più giovane.
La verità è che la morte non è uguale per tutti. Non lo è almeno la sua eco mediatica, nè la partecipazione emotiva popolare che dell'intensità di tale eco è allo stesso tempo causa ed effetto. 
Generalmente empatizziamo più con il turista italiano morto in una catastrofe naturale ai tropici che con la popolazione locale, magari spesso indigente. Più con il soldato italiano ucciso che con le vittime inermi delle guerre. 
Umano, troppo umano; siamo tutti fondamentalmente egocentrici e l'argomento che ci appassiona di più è "noi stessi". E' italiano come me; ha la mia stessa età o l'età di mio figlio; è proprio della mia stessa città; lo vedevo sempre al bar dove (io) vado a fare colazione; ci sono stato anche io là in vacanza. 
E mentre io sto qui a scoprire l'acqua calda grazie a una frasetta del piffero, i professionisti della comunicazione ci sono arrivati da tempo e così Simoncelli finisce in prima pagina, e ci fanno vedere e rivedere gli istanti della caduta, e arricchiscono la vicenda di particolari (e la barella che cade e forse Valentino smette), e la Turchia chi se la ricorda più. Normale, lo so, ma a ben pensarci, sommessamente, la cosa mi imbarazza. Tutto qui.         

martedì 25 ottobre 2011

Ma che cavolo di minestra!

Finalmente l'autunno sembra aver preso coraggio: è tutto il giorno che piove! Propongo dunque a quanti fossero metereopatici una ricetta calda calda e buona buona (e già che siamo coi superlativi assoluti doppi, anche facile facile), a dispetto del fatto che sembra molto salutista (ed in effetti lo è). Ricetta peraltro assolutamente vegetariana, anzi vegana, il chè, come ho già spiegato in precedenza, non guasta: la minestra di cavolfiore.
Ecco il necessario per 4 persone:
- mezzo cavolfiore
- 3-4 patate
- 1 litro di brodo vegetale (io sono una estimatrice, folle, lo so, antiecologico, lo ammetto, contrario ad ogni buona creanza gastronomica, me ne dolgo, del BRODO DI DADO)
- due cucchiai di buona passata di pomodoro
- spaghetti (considerare circa 50 g a persona)
- sale e peperoncino (se piace)
Tagliate a dadini le patate e lessatele nel brodo bollente, a cui aggiungerete due cucchiai di passata di pomodoro. Nel frattempo affettate il cavolfiore a piccole cimette. Quando le patate saranno morbide spegnete il fuoco, frullate col minipimer, aggiustate di sale e aggiungete i pezzetti di cavolfiore, lasciando stufare per una decina di minuti. Passato questo tempo e comunque alla ripresa del bollore, buttate gli spaghetti spezzettati (divideteli per circa 1/5 della loro lunghezza) e attendete il tempo di cottura. Completate, se vi piace, con una spolverata di peperoncino!

domenica 23 ottobre 2011

Matematica applicata

Qualche sera fa l'amorevole amato coinquilino aveva voglia di un dolce e pure io non disdegnavo l'idea (ovviamente!). Nessun miglior pretesto per sperimentare una vera equazione gastronomica, imparata alla scuola di cucina Il Girasole: il tortino dal cuore fondente.
Risultato superbo, ma la ricetta deve essere seguita alla lettera. Ecco gli ingredienti per quattro tortini:
- 65 g di burro + poco burro per imburrare i pirottini
- 65 g di cioccolato fondente
- 65 g di zucchero
- 1 uovo intero e 1 tuorlo
- 18 g di farina 00
- pochi biscotti secchi
Fondere a bagnomaria il cioccolato a pezzetti e il burro a fiocchi (l'insegnante del corso docet: non mescolare prima che il tutto sia quasi totalmente sciolto per evitare di incorporare aria).
Montare le uova con lo zucchero fino ad ottenere una bella spuma. Incorporare la farina setacciata (di solito non la setaccio mai, ma la soggezioni che mi incuteva la ricetta mi ha imposto di farlo). Aggiungere a poco a poco il cioccolato e il burro fuso, mescolando dal basso verso l'alto.
Tritare finemente i biscotti, imburrare i pirottini di ceramica da forno e cospargerli di biscotti tritati. Pesare il composto da versare in ogni pirottino: 60-65 g esatti per ognuno.
Infornare a 190°C per 14 minuti (in forno statico, sulla lastra).
Sfornare e porre su un piano per 5 minuti.
Appoggiare un piatto sopra al pirottino: capovolgere ed incrociare le dita! Questa sera tutto è filato liscio e il tortino si è sformato perfettamente (son soddisfazioni!).
Aggiungere una spolverata di zucchero a velo e cioccolato amaro in polvere e servire immediatamente. Fantastici!
La ricetta dice che queste delizie si possono conservare anche in frigo (sformarle prima) e riscaldare a 120°C per 5 minuti oppure in microonde alla massima potenza per 10 secondi. Il risultato a quanto pare non è comunque lo stesso...ma questo lo devo ancora sperimentare.

martedì 18 ottobre 2011

Caro black block ti scrivo

Caro black block, si parla tanto di te in questi giorni e io ti ho pensato spesso, per capire da che parte guardare questa faccenda dei disordini a Roma. Eri là sabato scorso, e probabilmente hai sfondato la vetrina di una banca che forse non rinnoverà il contratto ad un giovinastro come te, che dopo una laurea, un master, un corso d'inglese e uno di informatica era riuscito all'alba dei 30 anni a guadagnare 700 euro al mese. Probabilmente hai incendiato una Panda in riserva con qualche ammaccatura e senza l'acqua nei tergicristallo, come la mia. Poteva essere la mia, e allora vedi come li aggiro i sofismi da saccentuzza-radical-chic-bastian-contrario della serie che la violenza è un altra. E no, amico b&b, se immagino la mia Panda in fiamme capisco che sei indifendibile. E se scopro che sei lo stesso che allo stadio intona i cori antisemiti, quello che organizza il pestaggio alla coppia gay, quello che lanciava i sassi dal cavalcavia, quello che quando ero bambina scavalcava i cancelli del parco, la notte, e sgozzava i cigni per tedio, e lo sospetto fortemente, allora è facile capire che la tua protesta non ha identità, come non ce l'ha il tuo volto. E una protesta senza colore, senza idee, o che ne prende tante alla rinfusa, le mescola, le trita e ne fa un frullato più assimilabile per organismi semplici, perde molto del suo appeal. E tuttavia ci ho provato, caro b&b, a capire. Sei arrabbiato; la precarietà, l'immobilismo sociale, la meritocrazia latitante, i troppi soldi in mano a troppo pochi, le prese in giro dei disonesti al potere, la dappocaggine dei leccaculo che li attorniano, il perbenismo e la demagogia dei sepolcri imbiancati...ci sarà anche questo nel tuo frullato? Voglio darti il beneficio del dubbio, ma un frullato resta.  E il frullato prende la forma del contenitore che lo attornia.
Ecco cosa intendo, amico.
Prendi un b&b, prendine tanti, centinaia. Se ne trovano in tutti i paesi del mondo: è facile assimilare un frullato (a volte mi chiedo se in Italia ce ne siano di più, e se dipenda dalla lobotomia mediatica, ma questa resta una domanda in sospeso). Prendi centinaia di b&b in Italia. In questa Italia qui, quella dei disonesti e leccaculo di cui sopra, quella dei miracolati dai soldi e dal potere che son lassù col solo scopo di salvare se stessi, quella dei presidenti del consiglio che si ingaglioffano col trappolaio qualsiasi auspicando di "far fuori la procura di Milano". Questa Italia non ha interlocutori per gli indignatos, quelli con la Panda scassata a cui apprensioni e disillusioni stanno sullo stomaco da troppo tempo (altro che frullati!), sarebbe imbarazzante persino ascoltarli, perchè nessuno è lassù per loro. Più facile allora chiudere un occhio, dire che quei b&b avevano cospirato nell'ombra, limitarsi a non fare quello che nelle oltre ottanta piazze del mondo hanno evidentemente fatto, ovvero arginare i violenti.
Prendi centinaia di b&b in Italia e lasciali fare. Questo li esimerà lassù dal trovare risposte per l'Italia peggiore del ministro Brunetta. Allora sarà un gioco da ragazzi dire costernati: guardate chi sono davvero quelli che protestano. Questo, e non altro, riempirà giornali e tv. Lassù riceveranno solidarietà unanime e nel chiasso delle vetrine rotte e dietro le coltri di fumo delle auto incendiate si prenderanno altro tempo per fare i loro comodi.      
       

giovedì 13 ottobre 2011

Dolcetto o scherzetto?

Sono il dolcetto americano per eccellenza, i muffin. E qui lo dico e qui lo nego rappresentano degnamente le celeberrime manie di grandezza americane: tanto cinema per un dolce facile facile che sta a cassate, cannoli, babà, frappe e chi più ne ha più ne metta come i romanzi armony stanno alla divina commedia.
Conscia che anche gli armony possono avere un loro perchè, amo i muffin e li faccio anche piuttosto spesso, sperimentando diverse varianti. La ricetta base che ho reputato la migliore, dopo alcune prove, è la seguente:
100 g di burro ammorbidito
180 g di zucchero
3 uova
350 g di farina di cui 100-150 g di farina di Manitoba (si trova ormai in tutti i supermercati). La restante farina di frumento 00. L'aggiunta della Manitoba è secondo me fondamentale per ottenere dei muffin soffici e per quanto possibile leggeri.
150 ml di latte
1 bustina di vanillina
1 pizzico di sale
1 bustina di lievito per dolci

Per fare i muffin è essenziale possedere lo stampo in silicone oppure in metallo (in quest'ultimo caso diventano imprescindibili gli appositi pirottini di carta da inserire negli incavi, altrimenti sarà molto difficile convincere i vostri muffin ad uscire dallo stampo). Non tentate la fortuna: cuocere i muffin nei soli pirottini di carta significa sfornare delle poco invitanti piatte "frittelle" invece che degli esuberanti dolcetti impertinenti.
Montate burro e zucchero fino ad ottenere una bella cremina omogenea e spumosa, aggiungete le uova intere, metà della farina, il latte, la restante farina e poi tutto il resto. Non mescolate eccessivamente: al muffin piace che l'impasto sia un po' "grumoso".
A questo punto potete sbizzarrirvi ad inserire ingredienti a piacere: scaglie di cioccolato, mirtilli sciroppati, frutta secca, farina di cocco, uvetta ammollata...
Se volete i muffin neri sostituite 50 g di farina 00 con altrettanto cacao amaro in polvere e aumentate un poco lo zucchero.
Lo zucchero in granella spolverizzato al di sopra (o anche granella di nocciole o altro) fa sempre la sua figura.
Scucchiaiate l'impasto negli stampi riempiendoli per circa 3/4 e infornate a 180°C per circa 20 minuti.
Dolcetto servito.

martedì 11 ottobre 2011

Noi relitti del classico

Mamma insegnante, babbo libero professionista, generazioni di nonni istruiti: prototipo del fanciullo destinato al liceo classico senza possibilità di replica.
Per mia fortuna non appartenevo al prototipo e ho scelto il classico come qualsiasi tredicenne dovrebbe poter scegliere la scuola superiore: a caso o tutt'al più a naso. No, non farò come la miss Italia di turno: non passavo di lì con la mia amica Frenci mentre ci mangiavamo un gelato, il preside mi ha notata, etc etc. Tuttavia la mia non fu una scelta meditata. Al corso facoltativo di latino delle medie infondo avevo ottenuto risultati poco incoraggianti...
Arrivai casualmente al Muratori tre giorni dopo l'inizio delle lezioni perchè ero coi miei in Sardegna: abbronzata e di carta velina vestita, mentre i miei nuovi verdognoli compagni erano già infagottati nei maglioni.
Quella scuola si rivelò per me una buona idea. Una scuola che mi ha insegnato tanto di quello che sono e che dico e che penso oggi, dove ho incontrato amici mai più lasciati, consolidato una sorellanza di vecchia data, dove ho imparato a misurarmi con la mia personalità che si formava, inciampava, si stupiva, si arrabbiava, faceva cose buffe che oggi mi inteneriscono. Auguro a qualsiasi ragazzo di svegliarsi sereno la mattina prima di andare a scuola, in qualsiasi scuola, come mi sono svegliata io per cinque anni.
E però diciamolo il liceo classico non è una scuola qualsiasi. Noi relitti del classico siamo marchiati a fuoco e a distanza di anni dall'età verde della scuola vagabondiamo con la nostra lettera scarlatta stampata in fronte. Riconoscerci è facile. Siamo quelli che "un agente teratogeno è una roba che causa malformazioni" e proprio non resistono a dirlo. Quelli che sei stai male, beh, "compassione è soffrire insieme" e tutta la tomella filosofico-esistenziale che ne consegue. Quelli che riconoscono un ossimoro e una litote, e non riescono a fare a meno di compiacersene. Quelli che per imparare a cambiare una lampadina devono sempre e comunque prendere appunti. Quelli che hanno sviluppato una compulsione per lo studio. Quelli che non c'è limite a ciò che potrebbe essere interessante sapere. Quelli che tanto il classico ti dà un metodo. Quelli che hanno sperimentato che questa teoria ha dei limiti. Ma che nonostante tutto avere un libro da aprire, una storia che aspetta di essere raccontata, un sogno che attende di essere realizzato è un bel vivere.
Ed è così che ad anni trenta più uno, a dodici anni dalla maturità, cinque dalla laurea, pochi mesi dal dottorato, sono tornata nel limbo degli studenti e mi sono iscritta a giurisprudenza.
Liceo classico: può avere effetti collaterali anche gravi, leggere attentamente il foglietto illustrativo.

lunedì 3 ottobre 2011

Tu che locali frequenti?

Questa domanda mi atterriva all'epoca in cui ero un'adolescente tremebonda (ovvero fino a circa 25 anni).
E adesso cosa rispondo? Ma, sai, nessuno in particolare (=non ne frequento nessuno ma non oso confessarlo). Boh, sì...qualche volta vado al Rock Modena Pub (=sì, tipo UNA volta in vita mia. La verità è che quando voglio una birra o sto a casa mia o vado alla Vecchia Scarpa o alla Stella, n.d.r. che oggi non esiste neanche più).
Oggi che di anni ne ho 30 più uno e che la moda impone di usare facebook come un localizzatore satellitare per far sapere non si capisce bene a chi e a che pro dove ciascuno si trovi in ogni momento (Tizio è al Baluardo-Caio è al Paseo-spero che almeno Sempronio mantenga un po' di mistero), scopro che forse sono diventata definitivamente grande. Vecchia, forse. E dall'alto del mio orgoglio matusa mi permetto di confessare al popolo di taggatori tagganti 20(e ci sta)-30(e anche no)-40enni(e finiscila!) che...
Non sono mai stata al mitico Baluardo. Quando ho capito che il leggendario Paseo era la baracchina dei viali con le sedie a dondolo dove andavo a mangiare la cocomera quando avevo dodici anni ho capito la differenza che corre tra leggenda e realtà. Mai stata allo Snoopy. Mai al Frozen. Mai al Gilda. Una volta alla Crepa e dal momento che hanno preteso di farmi credere che dovessi alzarmi soddisfatta a ballare dopo avere pagato 20 mila lire (sì, c'era ancora la lira) un'insalata ho pensato che qualcosa non era in sintonia tra me e loro. Il Pineta questo sconosciuto. Mi sono chiesta per un paio d'anni cosa fosse mai questo celebrato Raduno degli orsi. Ho fatto il primo aperitivo a 28 anni. E quando ho messo piede all'Embassy ho visto cose che voi umani...ma dico, veramente c'è gente che si sente a proprio agio in salopette leopardata con tacco 12?.